Yohoo!
Dovete sapere che, sebbene ormai l’autunno sia iniziato da quasi due mesi – e manchi ben poco all’inverno, il mio cuore batte nell’estate (uh, che poesia…!) e dunque, col pensiero, a volte mi perdo ancora in quei giorni dorati. La mia è stata un’estate squisita per motivi vari, fra cui anche l’aver trovato qualche perla della narrativa, spaziando dai libri ai musical. So, perché non stilarne un puntualissimo elenco?

olga di carta cover
Olga di carta

Giusto per cominciare bene, il primo libro che ho letto in questo Periodo Magggico, i primi giorni di giugno (che ancora non sono estate tecnicamente ma ‘sti cazzi ok, la mia estate va dall’1 giugno al 21 settembre) è stato Olga di carta.
E signori. Mio dio. Che inizio col botto.
Dovete sapere che questo libriciuolo mi tentava già da un poco. Una trama promettente – la storia di una bambina di carta che si lancia in un lungo viaggio per diventare una bimba vera e passa anche per un circo, e ho un certo debole per i circhi nelle storie -, un’autrice per cui provo sia stima che affetto – Elisabetta Gnone è la creatrice delle W.I.T.C.H., le mie eroine ai tempi delle medie – e poi qualche altro dettaglio più prosaico (un’edizione che attira l’occhio pur rimanendo discreta, nonché un costo contenuto). Tutto considerato, me lo sono regalato in non-ricordo-bene-quale-circostanza.
Già delle prime pagine ho capito che avrei avuto a che fare con uno di quei libri belli belli. Ce ne sono alcun che non so proprio come facciano, ma mi colpiscono. Di solito sono delle mezze favole, come Lo straordinario viaggio di Edward Tulane – oppure favole intere, come Peter Pan, e se non è la prima volta che entrate su questo blog sapete quanto sfrangio i maroni con Peter, lol.
Sarà che inizia così

Tutti sapevano che Olga amava raccontare bene le sue storie oppure non le raccontava affatto, e quando la giovane Papel attaccava un nuovo racconto, la gente si metteva ad ascoltare. Sarà stata la fame di conoscere per chi non s’era mai mosso dal villaggio; sarà stato il solletico che ogni storia procurava a un angolino della mente, trasformando fatiche e pensieri in sogni e speranze; sarà stato il fascino dell’ignoto e dello straordinario, sta di fatto che, quando Olga Papel iniziava a raccontare, chi era vicino tendeva l’orecchio, le finestre si dischiudevano, le voci nei cortili si acquietavano, volti incuriositi sbucavano da dietro il bucato e chi era in casa usciva, trascinandosi dietro una sedia.

Okay, mezza pagina e io già stavo incollata tipo: “Va bene, ora tu mi dici cosa racconta Olga, ma intendo per filo, per segno e anche con le pause per grattarsi il naso.”
Non ci vuole molto prima di vedermi esaudita, un paio di pagine e già inizia l’avventura. Che, per carità, il pretesto è semplice. Olga racconta storie dove le persone a cui parla possano ritrovarsi, affrontare i propri demoni, e scoprirsi da zero. Ma ridurre il libro solo a questo sarebbe uno scempio. E’ una storia dove le due parti, quella reale e quella fittizia, si fondono e si mescolano senza lasciar vedere bene il margine netto di dove inizia una e finisce l’altra, tanto da lasciare sottinteso che Olga possieda davvero una qualche dote magica… o che davvero possa raggiungere quei posti incantevoli o terribili di cui racconta. I personaggi di entrambi i mondi sono… come potrei dire… folcloristici. Tutti delle personcine particolari che, pur apparendo poco, rimangono impressi; ho letto il libro mesi fa, eppure ancora ricordo della signora Casolina, la poderosa gentildonna tedesca che, sebbene sia più robusta di molti uomini del paese, riesce a ondeggiare con grazia sui suoi tacchi a spillo; oppure il signor Bod e la sua testa pelata, quello che forse ha sparato sua moglie nello spazio quando lavorava come donna cannone, e per questo scruta tutte le notti nel cielo col telescopio – per ritrovarla. L’atmosfera del paesello è unica nel suo genere, e per tutta la storia sembra di aggirarsi insieme ai protagonisti per le sue stradine strette e i boschi che lo circondano, l’odore delle piante aromatiche che risale per le narici e la voce pacata di Olga in sottofondo, mentre continua a raccontare la sua storia. E’ bello vedere anche come nella storia della bambina di carta si ritrovino anche vari riferimenti più o meno nascosti a certi classici per ragazzi – di sicuro ci sono Pinocchio e Il mago di Oz, cosa che mi ha fatto lisciare le piume, ma sbaglio o ci ho visto anche qualcosina delle Cronache di Narnia? – ma soprattutto devo complimentarmi con la signora Gnone per come ha scritto questo libro. Avevo già letto la prima trilogia di Fairy Oak di suo, che è sicuramente caruccia, ma non esattamente memorabile; tuttavia in questo libro il suo stile mi ha lasciato sbalordita. Riesce a passare, con innegabile maestria, da momenti in cui si parla in modo terra-terra e… devo dirlo… molto impietoso nei confronti dei personaggi… x° e vere e proprie chicche stilistiche. Mi ha dato l’impressione che, quando si è seduta a scrivere questo libro, lo abbia fatto col chiaro intento di dar fondo alla sua arte e a tutti i trucchi del mestiere.

“Olga si mise a correre e, solo quando fu sicura di essere sola, l’unica creatura umana fra tanti alberi, si fermò e si guardò intorno: pioppi, aceri, castani, frassini, robinie, salici, da quando era nata ombreggiavano quel lato della collina.
Olga li conosceva da sempre, come poteva averne paura? Di minuto in minuto cambiavano colore al regno sottostante: blu incantamento, verde meraviglia, rosso prodigio, oro… era un mondo magico, da cui aveva ricevuto moltissimi doni.”

Quel rosso prodigio mi ha stesa. La classe. E ho pescato un pezzo a caso fra quelli che ricordavo scritti con particolare ispirazione.
Quando Olga giunge al climax della sua storia, comunque, ai suoi amici saranno pure salite le lacrime, a me sono venuti i brividi. Dio, quant’era scritto figo.
Per concludere, le immagini in paper cut all’interno sono carinissime e… beh, indubbiamente adatte al contesto di una bimba di carta, ecco.
Sullo scaffale dei preferiti, fila.

Paper cut di Linda Toigo

Dopodiché, sempre per rimanere sulle cosine tranquille, ho finalmente avuto modo di leggere Cime Tempestose – che la mia coinquilina l’ha recuperato in biblioteca per un esame.
Ora, forse traviata da come si parla in giro di questo libro, finora non è che l’avessi inquadrato tanto bene. Pensavo fosse una passionale storia d’amore ambientata in una qualche villa dispersa su delle cime tempestose, appunto, sullo sfondo di una classicissima storia sovrannaturale all’inglese – ospiti che dormono nella stanza infestata, fantasmi, eccetera eccetera.
Quindi avevo qualche dubbio l’avrei apprezzato, ma vabbé, mi piace sperimentare coi classici.
Okay. Lo apro e mi trovo a leggere di uno tsundere asociale

Photo by peterfrofriend

che, cambiando qualcosina qui e là, potrebbe benissimo essere il mio vicino di casa, per come parla.
Tempo tre pagine e appare l’antagonista, anch’esso un’asociale da manuale – e da parodia.
Cime tempestose mi ha presa in contropiede. Moltissimo. Ma è anche uno dei motivi per cui mi è piaciuto: pare scritto l’altro ieri, e i personaggi sono vivi, moderni, e vicinissimi.
L’ho divorato in un paio di giorni: incredibile come una storia di intrighi familiari, piani di vendetta trentasettennali e qualche accenno di sovrannaturale giusto per gradire sappiano tenerti incollato fino all’ultima pagina. La mia conclusione, ad ogni modo, è stata circa: Heathcliff pls no; Catherine hai rotto; Cathy è un amore; SALVATE HARETON MADONNA SANTA. Comunque, non ho ancora ben capito dove sia la passionale storia d’amore. Heathcliff e Catherine sono di certo posseduti dai bollenti spiriti, ma è più quel che definirei simpatica storia d’amore fra psicopatici. Anche se Heathcliff l’ho trovato un’antagonista favoloso, mentre con Catherine parte la voglia di randellate.
(E sìì, sono stata molto soddisfatta del finale. Anche se secondo la mia personalissima opinione Heathcliff, vedendosi in pratica sconfitto dal Potere dell’Amore, ha arbitrariamente deciso di mollare il colpo e fuggire all’altro mondo.)
Libro che mi ha stupita moltissimo, ma ora posso capire com’è diventato un classico.

la vera storia di capitan uncino copertina
La vera storia di Capitan Uncino

Ultimo libro di questo elenco ma, come sempre, non per importanza: La vera storia di Capitan Uncino. Come ricorderà chi ha letto questo articolo, era un libro che avevo sullo scaffale giù da un po’ – perché per conquistarmi ci vuole poco: basta parlare di Peter, e io…
Certo, dal titolo potremmo dire che qui non si parla di Peter, bensì di Uncino. Vi potrei anche dar ragione.
Ma non solo, ecco. In realtà, questa è una storia che ha un inizio molto classico: il figlio “bastardo” indesiderato di un re – desiderato dal padre, per la verità, ma indesiderato da chiunque altro – e della sua salvezza in un improvvisato viaggio in India per lui e la madre.
Una trama molto classica, in un certo senso, per storie ambientate nel periodo vittoriano e dintorni. Eppure in questo libro Capitan Uncino, Peter e l’Isolachenonc’è tutta si animano e assumono una nuova forma – più umana, più terrena, a volte più brutale, ma più vicina.
James Fry è il figlio segreto di Giorgio IV, re d’Inghilterra. Per salvarlo dalle mire sul trono del fratello del re, un medico di buon cuore e il rettore dell’accademia di Eton salvano lui e sua madre creandogli dal nulla una nuova vita, identità e lavoro in India.
Eppure, James Fry ama il mare. Saranno stati quei suoi primi mesi di vita a bordo di una nave in mezzo ai flutti, sarà stato il destino, ma farà tutto il possibile poter vivere la sua vita in mezzo all’acqua – costi quel che costi, foss’anche di vivere una sorta di eterna giovinezza nelle storie dei suoi compari, dopo la sua fuga da bambino, o di perdere la mano destra.
Ecco, potete ben capire che il modo in cui Baccalario ha amalgamato la storia nuova di zecca di James Fry, il suo amore per il mare, la trama della favola di Peter Pan e anche una miriade di dettagli più sottovalutati… il tutto raccontato con una prosa squisita… well. Libro che lo stesso mi ha stupita: personalmente, ho sempre pensato che la gente fosse divisa in due. Chi batte le mani per salvare Campanellino e chi no, ma soprattutto chi fa il tifo per Uncino e chi per Peter. Perché sono due personaggi che si amano o si odiano, senza sottigliezze e vie di mezzo. Visto il tema, pensavo l’autore fosse ovviamente della fazione Uncino. Ma no, mentre leggevo mi sono resa conto di un intreccio ben più profondo… di uno studio dell’originale che da brava fan di Barrie mi ha esaltato… e di una conclusione inaspettata. All’inizio non è che ci sia tanto, poi, a parte il nome di James. Ma ecco i bambini sperduti, in quello zoo che pare una giungla… e poi la giungla vera, con l’elefante incarnazione di Vishnu… (?) e un campanellino legato alla zampa. Massì, un Campanellino che risuona minaccioso in una foresta… Sono pochi, non sono urlati, e sono inseriti con un’eleganza spaventosa. Certe cosine perfino io ho dovuto rifletterci un po’, per notarle. Ma se volete un bel libro di avventura piratesca e, soprattutto, volete un bel libro ispirato a Peter Pan, questo fa al caso vostro.
Ps: anche qui c’è una scena climax (il climax di una parte però, non quello finalissimo) che mi ha fatto venire i brividi per com’era scritto.

“Ma.
Non.
Oggi.”

 

bury rpg logo
Bury

Swtchiamo per pochissimo dai videogiochi; voglio fare una piccola menzione d’onore al videogioco indie Bury. Di suo è un gioco molto carino, anche se direi nella norma; tuttavia mi ha colpito la fantasia e l’assurdità dei puzzle, tutti ispirati alle famose nursery rhyme di Mother Goose. Nei videogiochi creati con RPG Maker/Wolf RPG Editor/questecosequi è abbastanza comune (se non aspettato) trovare queste filastrocche, ma di solito sono sempre le stesse e messe giusto perché fa figo. In questo gioco, invece, le si può rimirare in tutto il loro… fascino da cultura popolare. (?) Quindi abbiamo bambini che si arrampicano sull’arcobaleno, minuscoli omini di carta che vivono in una scarpa, gente che si perde gli occhi in mezzo ai rovi – e dal suddetto rovo viene poi risucchiata, oddeo.

questione di tempo locandina
Questione di tempo

Come detto la tappa dai videogiochi era breve, dunque si passa subito ai film! In realtà devo inserirne uno solo – per quanto ne abbia visti svariati, quest’estate, quasi nulla di memorabilissimo – e si chiama Questione di tempo.
Il modo migliore in cui potrei definire questo film: semplice. E’ un film molto semplice.
E’ quel genere di contesto in cui, ad una persona assolutamente normale, viene dato in dono un potere straordinario da usare nella sua vita assolutamente norrmale con problemi assolutamente normali. Niente supercattivi, da grandi poteri derivano grandi responsabilità – Cit., eccetera eccetera. Questo tranquillo ragazzo scozzese scopre di avere il potere di tornare indietro nel tempo – solo per la durata della sua vita, in posti che ha visto/conosciuto. Non ha una vita orribile da rimettere in sesto, solo un potere che forse a volte potrebbe salvargli le chiappe.
Devo dire che, da amante del fantasy, persino queste cose mi affascinano. Amo vedere mischiata la vita di tutti i giorni e le più incredibili magie, ma a volte viene da chiederselo… e se avessi una scintilla di magia, una sola? Come sarebbe?
Questo film risponde in pieno. Il protagonista, col suo potere, non farà mai nulla di sbalorditivo. Lo userà però per correggere qualche svista, questo sì, e per godere appieno le sue giornate. Anche se, il più delle volte, il problema viene causato dal viaggio nel tempo stesso… come la sera in cui conosce una ragazza molto carina, riesce ad ottenere il suo numero, ed è tutto molto bello. Tuttavia, quando torna a casa scopre che il suo padrone di casa/amico, regista teatrale che quella sera aveva la prima del suo nuovo spettacolo, è in crisi: uno degli attori aveva dimenticato le battute in uno dei momenti clou. Quindi torna indietro per sistemare le cose, ma ovviamente così facendo non si è mai presentato nel locale, e non ha mai conosciuto la ragazza; a questo punto, partirà una caccia sfrenata per mezza Londra per ritrovarla. x°
Un film pienamente slice of life; il protagonista non manca di fare il pieno di disavventure, ma sono quel genere di cose vicine, comuni, che capitano anche a noi tutti i giorni.
Ah, un’altra cosa. Ad un certo punto il protagonista, già felicemente fidanzato, reincontra la ragazza bellissima che gli aveva fatto perdere la testa qualche anno prima (ma che gli aveva anche tirato un due di picche incredibile e traumatizzato). Per qualche bizzarro motivo, la tizia sembra molto ben disposta nei suoi confronti – sarà stata la pubertà tardiva? Well, io stavo già lì, pronta a mettermi le mani nei capelli, temendo il mega-cliché che vedevo in agguato: tizio che finiva a letto con ‘sta squinzia, viaggi nel tempo riparatori, capire che era inutile, accettare i propri errori e affrontare le conseguenze…
… e invece no. Il ragazzo molla la tipa sulla soglia del suo appartamento, corre via, piomba a casa sua, si fionda dall’amata e le propone di sposarlo.
Wow. No sul serio, tanto di cappello. sempli.
Delizioso anche la specie di time-lapse per mostrare il periodo in cui i due piccioncini si conoscono; ambientato tutto in una stazione della metro di Londa, si vedono loro che entrano, escono – a volte da soli, a volte insieme -, partono per dei viaggi, tornano con le bustone della spesa, fuggono al lavoro in ritardo, sfilano con dei kigurumi addosso (#che), perdono il treno, ballano insieme… e sullo sfondo c’era sempre la stessa mini-band di artisti di strada a suonare che, alla fine, ringraziano.
Alla fine, la morale di questo film è ovvia e detta circa para para: godetevi il vostro tempo, non c’è bisogno di vivere due volte. Basta stare attenti la prima. Eppure non è pesante, e non mi è parsa tanto nemmeno “filosofia spicciola”. Un concetto semplice, ma quel genere di cosa che invariabilmente tendiamo a dimenticare.
E no, niente, questo film mi ha lasciato la pace dei sensi.
– P.s: l’ultima scena sua e del padre mi ha stesa
So, avanti, concludiamo in bellezza.

Così come questo post si avvia alla conclusione, anche la cosa di cui stiamo per parlare l’ho visionata negli ultimissimi giorni d’estate.
Un giorno stavo allegramente scorrendo tumblr, quando – magia! – mi capita di fronte un set di gif dal film d’animazione Anastasia… e da qualcosa che pareva un adattamento teatrale. Essendo che Anastasia è uno dei miei film preferiti dall’alba dei tempi (o magari no, ma dal ’97 di sicuro) la mia curiosità è stata subito destata; così ho indagato… e niente, ho scoperto che di Anastasia hanno fatto un musical nientepopodimenoché a Broadway. O meglio, lo stanno facendo, va ancora in scena.
Okay.
Corpo di mille balene.
Naturalmente l’ho visto, in qualche modo, e ne sono rimasta folgorata.

anastasia musical poster
Anastasia, Broadway

Potrei stare per ore a parlarvi di questo musical, ma lasciate che vi riassuma: era quanto di meglio un qualsiasi fan medio di Anastasia, dopo vent’anni, avrebbe potuto ancora desiderare. Nuove canzoni (fra tutte nominerei My Petersburg – finalmente Dimitri ha avuto un suo singolo -, In a crow of thousand – ora hanno anche un duetto, e Quartet at the ballet – geniale sia per composizione, che scena, che qualsiasi cosa), nuovi momenti shipposissimi (Dimitri che prende in braccio Anya e la fa ruotare in aria, o quando le dice che spera sia lei Anastasia, o il bacio alla fine MIO DIO), nuove battute
(Vlad: “FINALMENTE LA BELLA FRANCIA”
Dimitri: “… è come la Russia”
Vlad: “No, è come la Francia!”
Anya: “… sembra la Russia!”
Vlad: “FRANCIAAA”)

Gif by annbradleys

NUOVI BEI VESTITI CHE SONO IMPORTANTI, e una diversa versione della storia! Qui hanno preferito togliere l’elemento sovrannaturale, dunque Rasputin è assente (sebbene lo strumentale de Di notte col buio sia stato inserito come base per un’altra canzone, o come OST di momenti tesi) e l’antagonista è Gleb, un soldato russo costretto ad inseguire Anya/Anastasia per impedire che le voci sulla figlia sopravvissuta degli Zar possano minare il nuovo regime.
C’è molta più Russia, nel musical, sia per spirito di alcuni personaggi, che per alcune ambientazioni, e hanno inserito un sacco di dettagli per essere relativamente fedele alla storia. (Cosa che faceva anche il film e non mi stancherò mai di ripeterlo, ma in modo più sottile).

The parade
Traveled on
With the sun
In my eyes
You were gone
But I knew 
Even then
In a crowd of thousands
I’d find you again

[In a crowd of thousands]

A livello visivo, è incredibile. I costumi sono a dir poco eccezionali – alcuni sono versioni riprese e modificate di quelli del film, altri sono del tutto nuovi -, la costumista ha fatto un lavoro sublime. E’ bello vedere come solo dai vestiti si possano intuire il carattere e la vicissitudini di un personaggio. Il set/scenario presenta alcune genialate come le due grosse finestre che si aprono e chiudono e, con la collaborazione del fondale, permettono di passare in cinque secondi da un vecchio teatro, ad un ufficio, ad un palazzo reale, oppure quello che tutti hanno amato: la sorta di “gabbietta”, posizionata su una piattaforma rotante, per simulare l’interno di un treno.
E’ davvero difficile trovare dei difetti in questo musical, e il più grosso è presto detto: Dimitri ha un ruolo molto meno proattivo rispetto al film. E’ certo un personaggio sempre presente, ma funge più da sostegno psicologico di Anya; le uniche cose che fa in concreto sono concepire il piano all’inizio – di cui poi si occuperà Vlad -, comprare il carillon da un venditore ambulante, e sfidare la nonna di Anastasia al teatro. [Spoiler] Soprattutto, mi ha lasciato molto perplessa che sul finale Anya rischi di essere seccata da Gleb, ma Dimitri neanche era presente e per come si conclude il musical nemmeno l’ha saputo. Per carità, mi sta benissimo che Anya si “salvi” da sola – anche nel film la battaglia finale la risolve lei – ma almeno farglielo sapere… [/Fine spoiler]
In compenso, il musical ci dà degli approfondimenti molto graditi sulla sua caratterizzazione; Dimitri è sempre stato un personaggio piuttosto complesso, e poter esplorare un po’ di più la sua testa mi ha fatto molto piacere.
Gli attori sono tutti bravissimi, fantastici e okay quello di Dimitri mi fa impazzire (ma chiunque abbia visto Derek Klena in azione concorderà). L’attrice di Anya (Christy Altomare) è una cosa adorabilissima, mentre quello di Vlad… è tipo… malvagio. Quell’uomo è la malvagità incarnata. x°D
Se avete occasione di vederlo in qualche modo, di certo ve lo consiglio. Giusto per tentarvi, ecco il trailer.

E bum, abbiamo finito. Questa era la raccolta delle cose più fAighe con cui abbia avuto il piacere di trastullarmi quest’estate. Non so se diventerà una saga stagionale, ma chissà. Buon divertimento anche a voi!
Bye!